Agricoltura29/07/2024 11:35

Aree interne, Istat: in 10 anni popolazione residente in calo 5%. Tra 20 anni 80% comuni periferici in declino

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Nell’analisi dei fenomeni demografici il territorio è un fattore determinante: le sue caratteristiche condizionano la distribuzione spaziale della popolazione e costituiscono un elemento di attrazione/repulsione dei flussi migratori. Inoltre, spazi attigui e con caratteristiche omogenee mostrano effetti demografici simili. La delimitazione di un territorio può avvenire attraverso dei confini che possono essere definiti naturali (corsi d’acqua o catene montuose), politici (confini amministrativi di Comuni, province e regioni) o, ancora, sociali (assenza o presenza di servizi, prossimità a infrastrutture).

Spostare l’attenzione dall’analisi macro-territoriale a quella locale permette di mettere a fuoco temi e problemi che il concetto di macro-regione pone in secondo piano. A partire dal nuovo paradigma le classificazioni funzionali rendono più “visibili” i territori e le popolazioni che li abitano nelle loro specificità, potenzialità e fragilità, e nei loro bisogni.

La classificazione della Strategia Nazionale delle Aree Interne (SNAI) opera in questo contesto, fornendo una dimensione territoriale entro la quale analizzare i fenomeni demografici e sociali. Le Aree interne, oggetto della Strategia, sono costituite da piccoli Comuni (Intermedi, Periferici e Ultraperiferici), connotati da scarsa accessibilità ai servizi essenziali, opposti ai Centri (Poli, Poli intercomunali, Comuni di Cintura) dotati, invece, di infrastrutture che garantiscono tali servizi essenziali[1].

L’osservazione dei fenomeni demografici sulla base della mappatura SNAI propone una chiave alternativa all’interpretazione delle dinamiche demografiche globali e favorisce anche la lettura delle molteplici sfumature territoriali e delle profonde interconnessioni tra gli eventi demografici e l’ambiente in cui si verificano.

Il declino demografico delle Aree Interne più forte rispetto ai Centri

In base alla nuova mappatura relativa al ciclo di programmazione 2021-2027 della SNAI, le Aree interne comprendono oltre 4mila Comuni, il 48,5% del totale. Si tratta di territori fragili nei quali i fenomeni demografici, come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono dei territori a causa delle migrazioni, sono esacerbati rispetto al resto del Paese e la cui analisi può essere d’ausilio come strumento di programmazione.

Al 1° gennaio 2024, nelle Aree interne risiedono circa 13 milioni e 300mila individui, circa un quarto della popolazione residente in Italia (Prospetto 1); nei Centri, invece, la popolazione è pari a 45 milioni e 700mila individui (dati provvisori). In particolare, risiedono nei Comuni Intermedi 8 milioni di persone (pari al 13,6% del totale dei residenti in Italia), nei Comuni Periferici 4,6 milioni (7,8%) e, infine, nei Comuni Ultraperiferici, i più svantaggiati in termini di accessibilità ai servizi, 700mila individui (1,2%).

Il calo generalizzato che ha interessato la popolazione residente in Italia dal 2014 a oggi (-2,2%), dopo oltre un decennio di crescita (+5,9% dal 1° gennaio 2002 al 1° gennaio 2014), si presenta in maniera differente nei Comuni delle Aree interne rispetto ai Centri, così come diverso era stato l’aumento negli anni precedenti. Dal 1° gennaio 2002 al 1° gennaio 2014, la variazione nelle Aree interne era stata, infatti, pari a +2,9%, più bassa quindi rispetto a quanto registrato nei Centri (+6,8%). Dal 1° gennaio 2014 al 1° gennaio 2024 la popolazione residente nelle Aree interne è poi diminuita del 5,0% (da 14 milioni a 13 milioni e 300mila individui), mentre quella dei Centri dell’1,4% (da 46 milioni e 300mila a 45 milioni e 700mila).

La diminuzione assume contorni anche più intensi esaminando i Comuni Periferici e Ultraperiferici. Se, tra il 2002 e il 2014, la popolazione dei Comuni Periferici ancora evidenziava una crescita dello 0,6%, quella dei Comuni Ultraperiferici aveva già intrapreso un percorso di evidente riduzione, pari al -3,1%. Tra il 2014 e il 2024, poi, il declino demografico risulta generalizzato ad ampia parte del territorio nazionale ma con più evidente forza nelle aree periferiche (-6,3%) e ultraperiferiche (-7,7%).

PROSPETTO 1. POPOLAZIONE RESIDENTE al 1° GENNAIO per classificazione snai. Anni 2002, 2014, 2024.
Valori assoluti e percentuali

CLASSIFICAZIONE DEI COMUNI Popolazione Popolazione (%) 2024 (a) Variazione (%)
2002 2014 2024(a) 2002-2014 2014-2024
Polo (A) 19.909.121 20.650.862 20.340.374 34,5 3,7 -1,5
Polo intercomunale (B) 1.531.201 1.603.204 1.571.010 2,7 4,7 -2,0
Cintura (C) 21.931.681 24.072.227 23.753.238 40,3 9,8 -1,3
Centri (A+B+C) 43.372.003 46.326.293 45.664.622 77,4 6,8 -1,4
Intermedio (D) 7.954.228 8.347.324 8.020.876 13,6 4,9 -3,9
Periferico (E) 4.876.568 4.906.429 4.597.309 7,8 0,6 -6,3
Ultraperiferico (F) 790.471 765.871 706.942 1,2 -3,1 -7,7
Aree interne (D+E+F) 13.621.267 14.019.624 13.325.127 22,6 2,9 -5,0
Totale Italia 56.993.270 60.345.917 58.989.749 100,0 5,9 -2,2

La dicotomia tra Centro-nord e Mezzogiorno, che vede quest’ultima ripartizione sperimentare tassi di variazione negativi più accentuati, si riscontra anche nelle aree classificate dalla SNAI. Infatti, la perdita di popolazione nelle Aree interne del Mezzogiorno (-6,3%, -483mila individui) è più intensa rispetto a quella nelle Aree interne di Nord e Centro dove la diminuzione è, rispettivamente, del 2,7% e del 4,3% (oltre -100mila individui per entrambe).

Nel Mezzogiorno, tra i Comuni in declino, oltre due terzi sono comuni delle Aree interne, mentre nel Centro-nord i comuni interni sono oltre un terzo (Prospetto 2). Se, quindi, nel Centro-nord, il calo demografico coinvolge quasi in egual misura i Comuni interni e quelli centrali, nel Mezzogiorno la diminuzione della popolazione riguarda per lo più Comuni appartenenti alle Aree interne e risulta, inoltre, più intensa rispetto a quanto accade per la stessa tipologia di Comuni nel Centro-nord.

PROSPETTO 2. COMUNI IN CRESCITA E IN DECLINO PER macro CLASSIFICAZIONE SNAI E RIPARTIZIONE territoriale. Anni 2014-2024. Valori percentuali

  Aree Interne Centri Totale
CENTRO-NORD
Comuni in declino 31,9 41,7 73,6
Comuni in crescita 7,6 18,7 26,4
Totale 39,5 60,5 100,0
MEZZOGIORNO
Comuni in declino 62,0 27,6 89,7
Comuni in crescita 5,3 5,0 10,3
Totale 67,4 32,6 100,0
ITALIA
Comuni in declino 41,6 37,2 78,8
Comuni in crescita 6,9 14,3 21,2
Totale 48,5 51,5 100,0

Tassi di crescita naturale particolarmente negativi nei Comuni Periferici e Ultraperiferici

Il decremento demografico della popolazione residente è causato da un movimento naturale che da tempo risulta negativo. Il numero dei decessi supera quello delle nascite pressoché in tutto il territorio, per effetto del continuo calo dei nati che investe tutte le aree del Paese e di un tendenziale aumento dei decessi legato alla presenza di una popolazione sempre più anziana.

Nel 2023 il tasso di crescita naturale (pari a -4,8 per mille in Italia) è uguale a -4,5 per mille nei Centri
e -5,8 per mille nelle Aree Interne, in diminuzione rispetto al 2002 quando i valori erano pari, rispettivamente, a -0,1 e -1,1 per mille. Nel periodo 2002-2023 i Centri hanno registrato tassi lievemente positivi dal 2004 al 2009, mentre nelle Aree interne sono sempre stati negativi e più consistenti. Nei Comuni Periferici il tasso è passato, dal 2002 a oggi, da -1,5 a -6,3 per mille, mentre in quelli Ultraperiferici da -2,3 a -7,3 per mille, denotando una situazione nella quale il disequilibrio tra nascite e morti è più accentuato che altrove.

Considerando l’intero periodo 2002-2023 il calo delle nascite è stato del 28,5% nei Centri e del 32,7% nelle Aree interne. La differenza si deve ad aumenti annuali lievemente più intensi nei Centri nel periodo di ripresa delle nascite tra il 2002 e il 2008. A partire da tale anno, l’ultimo in cui si sia verificato un aumento del numero dei nati su base nazionale, l’entità del calo non mostra significative differenze tra Aree interne e Centri (-34,0% e -34,3%, rispettivamente) per quanto nel corso del tempo i valori del tasso di natalità delle due aree si siano avvicinati (Figura 1).

Nel 2023 in entrambi i gruppi di Comuni sono nati circa 6 bambini ogni mille abitanti (dati provvisori), in linea con la media nazionale. Scendendo nel dettaglio, però, mentre nei Comuni Polo tra il 2008 e il 2023 il calo delle nascite è risultato del 32,7%, in quelli Ultraperiferici si è registrato un decremento del 36,1%. In quest’ultima tipologia di Comuni, infine, il tasso di natalità nel 2023, pari al 5,8 per mille, si presenta tanto sotto il valore medio nazionale (6,4 per mille) quanto sotto quello delle Aree Interne nel complesso (6,3 per mille).

Negli ultimi 20 anni i Comuni delle Aree interne, che hanno una popolazione più anziana di quella dei Centri, hanno sempre registrato tassi di mortalità più elevati dei Centri. Nel 2023 nelle Aree interne si registra un tasso del 12,1 per mille, contro uno del 10,9 per mille nei Centri.

Per esaminare le condizioni di sopravvivenza, evitando gli effetti distorsivi di struttura intrinsechi nei tassi generici di mortalità, è utile riferirsi alla misura della speranza di vita distinta per classificazione SNAI, guardando principalmente a quella delle persone anziane. In primo luogo, a 60 anni di età, emerge un miglioramento generalizzato della sopravvivenza in tutte le aree della classificazione tra il biennio 2012-13 e il biennio 2022-23.

Ma l’aspetto più interessante è quello che riguarda un andamento decrescente della speranza di vita, spostandosi dai Poli verso i Comuni Periferici, con l’aggiunta di un andamento a U finale, stante a significare livelli di sopravvivenza che risalgono nei Comuni Ultraperiferici. Questo particolare andamento centro-periferia viene rispettato in tutte le ripartizioni geografiche, sebbene nel quadro di alcune differenze tra il Nord e il Mezzogiorno. Nel Nord, la speranza di vita a 60 anni ribadisce lo schema nazionale, è più alta nei Poli, decresce all’aumentare della distanza da questi ultimi, risale nelle zone ultraperiferiche. Nel Centro, si riscontra una situazione simile, ma con la differenza di avere i Poli intercomunali in posizione di vantaggio. In contrasto, nel Mezzogiorno le aree ultraperiferiche presentano una speranza di vita più elevata, anche di quella riscontrata nei Poli (Figura 2).

Questo elemento suggerisce che le aree ultraperiferiche offrono una migliore qualità della vita, vantaggio che tuttavia nel Centro-nord viene compensato da una più ampia disponibilità di servizi in corrispondenza dei Poli e dei Comuni cintura.

Flussi in uscita dalle Aree interne non compensati da altrettante entrate

Un altro importante elemento di fragilità demografica delle Aree interne è costituito dai significativi deflussi di popolazione che dai Comuni Intermedi, Periferici e Ultra-periferici si dirigono verso i Centri o verso l’estero. Avendo dimensione demografica minore e struttura per età più anziana, la dinamica migratoria delle Aree interne è meno intensa rispetto ai Centri (Figura 3). Nel periodo dal 2002 al 2023 i tassi migratori totali (tassi interni più tassi con l’estero) delle Aree interne sono stati positivi, seppur contenuti, solo fino al 2011, grazie al contributo della forte pressione dell’immigrazione straniera che ha caratterizzato il primo decennio degli anni Duemila. In particolare, l’allargamento a Est dell’Unione europea del 2007 ha, di fatto, favorito l’emersione di centinaia di migliaia di cittadini romeni e bulgari presenti sul territorio senza l’obbligo di un permesso di soggiorno che si è tradotta in un aumento delle iscrizioni anagrafiche dall’estero.

La robusta spinta migratoria dall’estero registrata fino al 2011 ha controbilanciato i tassi migratori interni sempre negativi dei Comuni Periferici e Ultraperiferici. Dal 2012 al 2019, invece, la stabilizzazione dell’immigrazione straniera su consistenze più moderate ha impedito il riequilibrio delle perdite di popolazione dovute alla mobilità in uscita dalle Aree interne. La pandemia da Covid-19 del 2020 ha poi parzialmente invertito il trend negativo, complici un significativo aumento dei rimpatri e una geografia del mercato del lavoro disegnata da nuove forme agili di lavoro a distanza.

L’andamento della dinamica migratoria dei Centri risente anch’essa delle congiunture già descritte ma, a differenza delle Aree interne, evidenzia in tutto il periodo considerato guadagni di popolazione dovuti alla maggiore attrattività dei Centri, esercitata sia nei confronti dell’immigrazione dall’estero sia nei confronti dei flussi migratori provenienti dalle Aree interne.

In partenza dalle Aree interne del Mezzogiorno quasi la metà dei flussi migratori nazionali

Il flusso migratorio che origina dalle Aree interne e si dirige verso i Centri è stato rilevante negli ultimi 20 anni. Dal 2002 al 2023 si contano poco meno di 3 milioni e mezzo di movimenti che hanno interessato questa traiettoria e circa 3 milioni e 300mila che invece hanno coinvolto movimenti sulla traiettoria inversa, con una perdita complessiva dovuta allo scambio tra aree pari a poco meno di 190mila residenti delle Aree interne, equivalenti alla scomparsa di una città come Taranto.

Quasi la metà delle partenze (46,2%) origina da Aree interne del Mezzogiorno, il 34,1% da quelle del Nord e il 19,7% da Aree interne del Centro. Specularmente, sono i Centri del Nord che accolgono la prevalenza di queste partenze (50,8%), seguiti dai Centri del Mezzogiorno (25,9%) e del Centro Italia (23,3%) (Prospetto 3). Complessivamente, tre movimenti su cinque riguardano movimenti da Aree interne a Centri all’interno della stessa ripartizione geografica di residenza, ma è significativa la quota di flussi che dalle Aree interne del Mezzogiorno si dirigono verso i Centri del Nord Italia (16,9%), a conferma del fatto che la tradizionale traiettoria dal Mezzogiorno verso il Nord continua a essere una delle principali direttrici della mobilità interna che interessa il Paese.

Espatri in aumento soprattutto nelle Aree interne

Un altro fattore che incide sullo spopolamento delle Aree interne è costituito dai consistenti flussi di espatri dei cittadini italiani verso l’estero. A differenza dei Centri, le Aree interne, soprattutto nell’ultimo decennio, non sono attrattive per gli immigrati stranieri che scelgono di insediarsi più frequentemente nei grandi centri urbani dotati di servizi e, molto spesso, laddove risiedono altri concittadini appartenenti alle stesse comunità (effetto network). Il ridotto apporto della presenza straniera non permette di compensare adeguatamente i flussi di espatrio e, in combinazione con la bassa natalità, causa il diffuso declino demografico delle Aree interne.

L’andamento dei tassi di espatrio (emigratorietà all’estero dei cittadini italiani) dalle Aree interne e dai Centri è in linea con il trend medio nazionale, con un forte aumento a partire dal 2010, verosimilmente dovuto alla crisi economica globale che ha saturato il mercato del lavoro interno e ha dato una forte spinta alle emigrazioni verso l’estero.

L’intensità del fenomeno negli anni successivi è stata rallentata solo dalla pandemia da Covid-19, quando l’incertezza dovuta all’emergenza sanitaria, e la sua ripercussione sull’economia internazionale, ha frenato gli scambi migratori tra i Paesi. Negli ultimi due anni si assiste a una ripresa degli espatri, soprattutto dalle Aree interne.

Nel dettaglio per microaree i tassi di espatrio dai Comuni Intermedi, Periferici e Ultraperiferici sono sempre più elevati della media nazionale in tutto il periodo considerato, con valori che superano il 2 per mille nel 2023 (dato provvisorio) nelle realtà più marginali.

Non si riscontrano differenze tra i profili per età degli espatriati delle due aree (Figura 5): i principali attori sono i giovani e i giovani adulti di 25-39 anni sia per i Centri sia per le Aree interne (rispettivamente 44,2% e 41,2% del totale degli espatri negli anni 2002-2023). Emergono invece disuguaglianze nelle graduatorie dei Paesi di destinazione. Per i Comuni Intermedi, Periferici e Ultraperiferici la Germania è la principale meta di destinazione (25,3% dei flussi complessivi), seguita dalla Svizzera (13,6%) e dal Regno Unito (12,7%). Per i Centri, invece, il Regno Unito è la meta preferita nel 18,8% dei casi, seguono Germania (13%) e Francia (10,2%).

Le due differenti graduatorie possono essere spiegate in parte anche dalla diversa composizione degli espatri per livello di istruzione: gli espatriati con titolo di studio medio-basso sono maggiormente attratti da Paesi con forte vocazione industriale-manufatturiera, mentre coloro che partono con un titolo di studio più elevato prediligono Paesi in cui il settore terziario rappresenta la vocazione economica prevalente. Per i Centri la quota di espatriati con un titolo di studio elevato è pari al 24,2% mentre per le Aree interne la quota scende al 17,8%.

La fuga dei giovani laureati: un ulteriore elemento di fragilità delle Aree interne

I giovani qualificati costituiscono una parte rilevante del capitale umano del Paese che su di essi investe in istruzione e formazione allo scopo di promuovere il loro inserimento in un mercato del lavoro sempre più competitivo a livello internazionale. L’esperienza migratoria dei giovani laureati non necessariamente assume una connotazione negativa, qualora si traduca in un’emigrazione temporanea e sia seguita da un rientro dopo brevi periodi. In questi casi, le competenze acquisite durante la permanenza fuori dal luogo di origine (estero o altro Comune italiano) possono essere utili a trasferire know how nei settori economici dei territori di partenza.

Quando invece l’emigrazione di capitale umano è permanente e non è rimpiazzata da un volume di rientri di giovani qualificati almeno equivalente, la perdita di popolazione dovuta alle migrazioni ha un peso socioeconomico più gravoso e impatta ancora più negativamente sul tessuto produttivo dei luoghi di partenza, soprattutto di quelli più fragili come le Aree interne. Negli ultimi 20 anni, il numero di giovani laureati italiani che dalle Aree interne si sono trasferiti verso i Centri o verso l’estero, è costantemente aumentato, mentre molto meno numerosi sono stati i flussi sulla traiettoria opposta (Figura 6).

Tra il 2002 e il 2022 si sono complessivamente spostati dalle Aree interne verso i Centri poco meno di 330mila giovani laureati di 25-39 anni, mentre appena 45mila verso l’estero. Nello stesso periodo, sono rientrati verso le Aree interne 198mila giovani laureati dai Centri e 17mila dall’estero. Ne consegue che la perdita di capitale umano delle Aree interne è pari a 132mila giovani risorse qualificate a favore dei Centri e di 28mila a favore dei Paesi esteri. Complessivamente lo svantaggio per le Aree interne è pari a 160mila giovani laureati.

Nei Comuni Periferici e Ultraperiferici i processi di invecchiamento sono più rapidi e intensi

Al 1° gennaio 2024, secondo i dati provvisori, l’età media della popolazione delle Aree Interne risulta di sei mesi superiore rispetto a quella dei Centri (47,0 contro 46,5 mentre per l’Italia nel complesso è 46,6)
(Figura 7). Rispetto al 2002, quando l’età media era pressoché uguale tra Aree interni e Centri, l’aumento è stato superiore proprio nelle Aree Interne: circa cinque anni, contro quattro anni e mezzo nei Centri (era 41,4 nei primi e 41,5 nei secondi).

Le differenze nel livello di invecchiamento tra Aree Interne e Centri sono ancora più evidenti guardando all’indice di vecchiaia, cioè il rapporto tra la popolazione ultra-sessantacinquenne e quella fino a 14 anni di età. L’indice, che per le Aree Interne e i Centri era, al 1° gennaio 2002, pari rispettivamente a 133% e 131% è, al 1° gennaio 2024, uguale a 214% e 196% (200% per l’Italia). Se quindi, oltre 20 anni fa, le differenze tra le due Aree erano piuttosto lievi, oggi risultano più significative, per effetto non solo dell’aumento della componente più anziana della popolazione, che caratterizza le Aree interne quanto i Centri, ma per una più marcata diminuzione di quella giovanile nelle Aree Interne, causata sia dal calo delle nascite sia dall’emigrazione dei più giovani, particolarmente intensa in queste ultime. Ancora una volta più fragili appaiono i Comuni Periferici e Ultraperiferici dove, al 1° gennaio 2024, ci sono, per 100 bambini al di sotto dei 15 anni, rispettivamente ben 225 e 243 anziani.

La popolazione over 65enne è aumentata, tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2024, di 5,6 punti percentuali nelle Aree Interne e di 5,7 punti percentuali nei Centri (Prospetto 4). Al 1° gennaio 2024 la percentuale di anziani rispetto al totale continua però a essere più alta nelle prime (25,2%) rispetto ai secondi (24,1%), per effetto di una diminuzione più forte del resto della popolazione, soprattutto quella giovanile, nelle Aree interne rispetto ai Centri. La popolazione fino a 14 anni è, infatti, diminuita di 3,0 punti percentuali nelle Aree Interne e di 1,7 punti nei Centri, mentre quella in età attiva, dai 15 ai 64 anni, è scesa di 2,6 punti nelle prime e di 4,0 punti nei secondi. Al 1° gennaio 2024 la popolazione in quest’ultima fascia di età costituisce il 63,0% della popolazione totale nelle Aree Interne e il 63,6% nei Centri, mentre quella più giovane (0-14) rappresenta, rispettivamente, l’11,8% e il 12,3%.

I Comuni Periferici e Ultraperiferici, dal loro canto, mostrano livelli di invecchiamento ancora più elevati. La popolazione oltre i 65 anni costituisce infatti il 25,9% e il 26,8% nei Comuni, rispettivamente, Periferici e Ultraperiferici, mentre la fascia di popolazione al di sotto dei 15 anni è pari all’11,5% e all’11,0%.

Tra 20 anni l’80% dei Comuni delle Aree interne sarà in declino

Le previsioni sul futuro demografico dell’Italia, aggiornate al 2023[1], confermano il declino della popolazione nel breve e medio periodo. Lo scenario di previsione “mediano” contempla un calo di popolazione da
59,0 milioni al 1° gennaio 2023 (anno base) a 58,2 milioni nel 2033 (-1,4%) sino a 56,5 milioni nel 2043 (-4,3% rispetto al 2023). La variazione sull’anno base, nel breve e nel medio periodo, risulta più accentuata per i Comuni delle Aree interne (rispettivamente -3,8% e -8,7%) rispetto ai Comuni dei Centri (-0,7% e -3,0%). La quota prevista di Comuni in declino per tutto il Paese è pari al 69,9% entro 10 anni e al 74,5% entro 20. Anche in questo caso, si evidenziano differenze significative, soprattutto nel medio periodo, tra le Aree interne e i Centri dove il calo demografico riguarderà, rispettivamente, l’82,1% e il 67,3% dei Comuni (Prospetto 5).

Il progressivo declino della popolazione investe tutto il territorio con intensità differenti non solo tra i Comuni Intermedi, Periferici e Ultraperiferici e i Centri, ma anche con un forte gradiente territoriale tra le ripartizioni del Paese. Gli scenari a livello locale tratteggiano situazioni molto eterogenee tra le Aree interne del Mezzogiorno e quelle del Centro-nord (Prospetto 6). Sulla base delle ipotesi formulate dalle recenti previsioni demografiche, tra 10 anni quasi il 90% dei Comuni delle Aree interne del Mezzogiorno subirà un calo demografico, con quote che raggiungeranno il 92,6% nei Comuni Ultraperiferici. Le previsioni del medio periodo, inoltre, danno un quadro ancora in peggioramento, con quote di Comuni in declino che, tra 20 anni, raggiungeranno il 93%. La situazione appare nettamente migliore per le Aree interne del Centro-nord, confermando disparità esistenti tra Aree che presentano le medesime condizioni di fragilità in termini di accessibilità ma che si trovano in aree geografiche diverse.

 

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