Caso Montepulciano, audizione alla Comagri Camera. Interventi di Abruzzo, Marche, Molise e Puglia

“La denominazione del Montepulciano d’Abruzzo trae origine dal Vitigno. Fino all’inizio degli anni ’90  questa utilizzava anche dei sinonimi, come Prugnolo o Cordisco, di cui poi si è persa traccia. Nel mese di settembre 2022, la commissione tecnica del Ministero dell’Agricoltura ha riammesso il sinonimo, ripristinandolo. Questa è la storia del Montepulciano d’Abruzzo, ma quando uscirà il decreto etichettatura, questo aspetto dovrà essere affrontato. Nella commissione tecnica interregionale, insieme al ministero, si discuteva della problematica legata all’utilizzo dei nomi dei vitigni, che riguarda anche altri vitigni, che richiedono altre discussioni sul decreto di prossima emanazione”.

Così in Commissione Agricoltura Tito Cieri, delegato Regione Abruzzo, nelle audizioni sulle problematiche connesse all’utilizzo della denominazione del vino Montepulciano.

“Voglio fare un discorso di logica. Sappiamo che la nostra viticoltura è composta da due grandi filoni: denominazione territorio e denominazioni vitigno e tutti devono avere pari dignità. Le denominazioni vitigno scontano una problematica, che ha 50 anni di storia. Il Montepulciano è un colosso nazionale, prima denominazione di rosso insieme al Chianti, che deve tutelare le proprie biodiversità anche in funzione del Ministero Made in Italy. Il decreto, così come è scritto, ha delle lacune e il Montepulciano è un brand che fa gola a tanti. Ritengo che questa nostra posizione sia a tutela della filiera nazionale, perché permettere questa apertura creerebbe l’opposto di quanto vuole il DM etichettatura, finalizzato all’informazione del consumatore. Anche noi abruzzesi soffriamo il problema, perché in diversi nostri vini non possiamo scrivere Montepulciano, anche se lo contengono, come nel caso del Cerasuolo. Ora con il reinserimento del Cordisco si potrà tornare a scriverlo, perché è un sinonimo del Montepulciano, questo in. altre regioni, mentre nella Regione Abruzzo questo nome è utilizzabile. Così risponde all’audizione Alessandro Nicodemi, presidente Consorzio tutela Vini d’Abruzzo.

“Come regione Marche abbiamo un forte interesse per tutelare il nostro Montepulciano, soprattutto sul nome che il decreto etichettatura lo dovrebbe prevedere. Tutto per fini discorsivi, per una questione di trasparenza, così da garantire il consumatore e quindi la varietà del vitigno dovrebbe essere indicata in contro etichetta. Questo perché storicamente il Montepulciano è altamente utilizzata, come nel Rosso Conero, che ha almeno l’85%, l’Offida Rosso sempre 85%, il Rosso Piceno Doc – la produzione più ampia – tra il 35 e il 45%, tutti con una storia molto lontana. Poiché si paventa la possibilità che si possa sostituire Montepulciano con Cordisco, come sinonimo, così facendo non si rispetterebbe il principio di un decreto sulle etichettatura, quindi la trasparenza verso l’utente. Cosa si vuole tutelare? Il vitigno, che però non crediamo debba avere l’appartenenza ad una sola regione. La sostituzione della retro etichetta costituirebbe un danno economico, anche perché abbiamo una filiera in forte crescita, che è contraria ad una possibilità del genere”. Così Andrea Antonini, Assessore all’agricoltura della regione Marche.

“Le nostre denominazioni sono 16 e tutte coinvolte in vini in cui c’è il Montepulciano, tra cui il Rosso Conero che raggiunge il 100%. Il percorso del decreto etichettatura, in particolare dell’art.16 comma 5 ci lasciava tranquilli prima della modifica, quando è stato messa in discussione l’impossibilità di lasciare a uso esclusivo di un vitigno per un territorio. Questo era sancito in maniera precisa: un conto è il nome del vino, che non deve portare in confusione il consumatore, che riteniamo un principio giusto, mentre è scorretto che ogni territorio si riservi un vitigno, impedendo la comunicazione agli altri produttori. Questo perché c’è confusione con la cittadina di Montepulciano, ma noi abbiamo fatto ricorso al tribunale ordinario in ottica di trasparenza: se non si crea confusione sull’etichetta”. Così  Michele Bernetti, Istituto Marchigiano Tutela Vini, in risposta.

“Noi dovremo nascondere, secondo gli amici abruzzesi, la componentistica del nostro vino. Noi rappresentanti del Rosso Piceno, il vino principali delle marche, sottolineiamo che non menziona in nessuno caso la voce Montepulciano sul nome, mentre il vitigno è patrimonio di tutti e rientra nel disciplinare. Oggi dovremmo togliere il nome e questo è un errore, perché il termine Montepulciano è un diritto acquisito, che vogliamo mantenere. Nel 2024 dovremo inserire ingredientistica in etichetta e come faremo a inserire questo vitigno, che arriva fino all’85% del contenuto? Dovrei utilizzare Cordisco invece di Montepulciano, ma non potrei essere libero di scegliere, si tratta di un cambiamento epocale. Invece il consumatore vuole sapere”, ha ribadito Giorgio Savini presidente Vini Piceni.

“Il problema del Montepulciano è antico, già nel 1998 era partito un ricorso della Toscana, ma in quel caso il Molise Montepulciano non andava bene, al contrario di quello abruzzese. Ribadisco che il vitigno è patrimonio di tutti, non esiste che qualcuno si possa accaparrare il nome: il non poterlo scrivere in etichetta va contro le norme europee e italiane, mentre ora ci vogliono far utilizzare il Cordisco”, ha sottolineato nel suo intervento  Alessio Di Majo, titolare della Di Majo Norante.

“Sono stato delegato dalla San Severo Doc, denominazione riconosciuta dal 1932 che parla anche dei vitigni che vengono ricompresi. Adesso non possiamo mettere il nome Montepulciano e nemmeno possiamo dire che viene dalle uve di questo vitigno. Dobbiamo cercare di recuperare da questa ingiustizia e fermare l’avidità degli agricoltori abruzzesi. Il decreto del San Severo doc è del 1968, come quello del Montepulciano: allora perché penalizzare altri cinque regioni? Chiedo giustizia su questo punto, ha concluso Pistilli, delegato della San Severo Doc.