Ciao Lino

Una grande stanza scura, un denso odore di fumo di sigaro e una scaletta piccola e ripida. E’ li che 25 anni fa, nella sua casa del Pantheon, conobbi per la prima volta Lino Jannuzzi. In mezzo ai suoi mille gatti con gli occhi che brillavano al buio che mi osservavano dubbiosi da ogni angolo.
Io ragazzino alle prime armi, lui un veterano del giornalismo.
Io il giornalista che lo doveva intervistare, lui il soggetto da raccontare.
Dopo qualche chiacchiera, mi invitò a salire con lui – di corsa e con grande entusiasmo – su per quella scaletta in cima alla quale mi fu subito chiaro c’era il suo angolo perfetto. “Presto”, disse. “Dobbiamo salire, c’è l’invio delle newsletter!”.
Le newsletter erano quelle dell’Agenzia stampa Il Velino, la sua creatura. Mai avrei potuto credere che dopo circa 25 anni ne sarei diventato il vicedirettore. Di un Velino che purtroppo viveva ormai di stenti e che non aveva più nulla di ciò che aveva portato Lino se non lo spirito che era ancora dentro a qualche giornalista che lo aveva conosciuto.
Il caso della vita ha voluto che dopo tanti anni ci re-incontrassimo io e LIno. Lui un po più vecchio, io un pò più adulto.
Ricordo una volta, ero ancora redattore, quando Lino si affacciò alla mia stanza e mi disse, con quel suo fare perentorio e ironico al tempo stesso: “sei arrivato per ultimo oggi?” E io, ritardatario cronico per tutta la vita con la risposta pronta: “si, ultimo ad entrare in ufficio ma primo ad uscire con le notizie!”. Lino mi guardò tradendo una smorfia di disappunto e soddisfazione al tempo stesso. Con la sua solita intelligente ironia.
La stessa ironia e la stessa intelligenza che non lo ha mai fermato nelle inchieste che lo hanno reso ciò che era.
La stessa ironia e intelligenza che lo hanno fatto amare e stimare da tutti noi che viviamo di cio che scriviamo.

Edoardo Spera