Impresa Agricola, la nostra IA. Il nuovo numero di CREAFUTURO. Il mercato del lavoro agricolo

L’ultimo numero di CREAfuturo è dedicato all’impresa agricola, tema di straordinaria attualità visto l’intenso dibattito che da mesi sta fervendo sullo status dell’agricoltore e sul suo reddito. A tale riguardo, ai microfoni di CREAIncontra il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida sottolinea le misure per le aziende contenute nel Decreto Agricoltura e coglie l’occasione per augurare buon lavoro al nuovo CdA del CREA .
Attraverso il centro dedicato, il CREA Politiche e Bioeconomia , i risultati delle ricerche e i nostri dati – primi tra tutti quelli dello straordinario patrimonio della Rica –  focus su com’è l’impresa agricola italiana oggi e in che modo si è evoluta nell’ultimo decennio. Come ha superato pandemia e guerra russo-ucraina? A fronte dei molteplici interventi di sviluppo rurale, , riesce ad usufruire dei relativi sostegni economici? Quali sono state le opzioni e le reazioni legate all’introduzione degli eco-schemi? Che opportunità ci sono per i giovani e le aree marginali? E non ultimo: in uno scenario così complesso, come sta cambiando il mercato del lavoro?

L’impegno del CREA per le imprese agricole, però, non si ferma all’aspetto economico…perché una cosa è certa – come sottolinea nel suo editoriale il prof. Andrea Rocchi, presidente CREA – qualunque sia la domanda relativa alle nostre imprese agricole, la parola “innovazione” è la risposta. Per questo, con il contributo degli altri Centri, sono evidenziate, settore per settore, le innumerevoli forme in cui la Ricerca può aiutare le aziende, soprattutto quelle micro, piccole e medie, vera ossatura del nostro sistema agroalimentare.

Il settore agricolo negli ultimi anni registra segnali di cambiamento strutturale (non più molte unità produttive con pochi ettari di superficie agricola) unito a un processo di ammodernamento, che vede la graduale crescita delle dimensioni aziendali e la riconversione delle aziende di più ridotte dimensioni. In tale contesto il lavoro agricolo continua ad avere un carattere di forte stagionalità e in larga misura temporaneo.

Pierpaolo Pallara, primo Ricercatore – CREA Centro Politiche e Bioeconomia

 

 

Abbiamo chiesto a Pierpaolo Pallara, ricercatore del CREA Politiche e Bioeconomia, quali sono i punti di forza e le criticità principali del comparto, in un contesto ambientale segnato dai cambiamenti climatici, dall’insorgere di nuovi patogeni, dall’instabilità dei mercati internazionali e dalla conseguente fluttuazione dei costi di produzione, che incidono pesantemente sulla precarietà del mercato del lavoro agricolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tema del lavoro in agricoltura compare nel dibattito pubblico generalmente in conseguenza di fatti di cronaca legati allo sfruttamento della manodopera, sia in termini di salario che di orari e condizioni lavorative fuori legge. Oltre queste circostanze, può illustrarci lo scenario attuale, partendo dal contesto in cui si incontrano l’offerta e la domanda di impiego?  

Preliminarmente è necessario rammentare che l’agricoltura, in Italia come in tutte le economie avanzate, assolve molteplici funzioni. La più evidente e percepita dalla collettività è la produzione di cibo. A questa si aggiungono, con differenti livelli di importanza, servizi generatori di reddito (agriturismo, masserie didattiche, fattorie sociali, cura del verde, contoterzismo, produzione di energia, ecc.) ed altri – di carattere immateriale, ma di grande rilievo – quali la gestione del territorio e la “tenuta” del tessuto socioeconomico locale.

Quest’ultima funzione si realizza in misura significativa attraverso l’offerta di lavoro agricolo, soddisfatta per lo più da manodopera di prossimità. Ciò accade soprattutto, ma non solo, nelle aree a forte vocazionalità agricola, contesti ampiamente diffusi nel Paese e contraddistinti da numerose produzioni di qualità e da alti livelli di specializzazione produttiva.

La pluralità di ruoli svolti dagli imprenditori agricoli e l’esigenza di garantire occupazione nelle economie fortemente dipendenti dal settore primario, rendono necessaria una visione sistemica del mercato del lavoro agricolo, che coniughi la sopravvivenza delle aziende con il rispetto delle regole e delle condizioni di impiego della manodopera.

Tutto questo si inserisce in un settore produttivo dalla spiccata specificità.

In primo luogo, la dipendenza dagli eventi climatici e da quelli a questi correlati, come le fitopatie, rendono gli esiti quantitativi e le performance economiche delle coltivazioni e degli allevamenti sempre sub iudice, con conseguente instabilità dei redditi ed elevato rischio di impresa.

A questo si aggiungono, anche per i prodotti con i prezzi oggetto di accordo, per esempio il pomodoro da industria, incertezze sui prezzi effettivamente ritraibili dalle produzioni. Ciò anche a causa della diffusa debolezza contrattuale del sistema agricolo, rispetto alle fasi a valle (trasformazione e distribuzione) delle filiere. È da ricordare che si tratta di una delle principali criticità delle imprese agricole, percettrici di una quota modesta del valore aggiunto nei cicli di produzione che dal campo portano alla tavola.

La fluttuazione dei costi di produzione, particolarmente evidente per i recenti eventi bellici, può impattare significativamente sui redditi degli imprenditori agricoli.

Ma la specificità del settore è anche di carattere strutturale.

La diffusione di colture a basso fabbisogno di manodopera, come la maggior parte dei seminativi, ad elevata meccanizzazione, la tendenza alla specializzazione produttiva sia aziendale che territoriale, con conseguenti calendari di lavorazione con picchi in corrispondenza di precise operazioni colturali, come la raccolta delle specie frutticole, determinano una forte stagionalità della richiesta di manodopera, con conseguente precarietà occupazionale. Fanno eccezione gli allevamenti e le colture protette, comparti nei quali i cicli produttivi si susseguono nel corso dell’anno.

Si è di fronte ad elementi non facilmente modificabili, se non attraverso la pratica della differenziazione colturale, che deve tenere conto di diversi fattori, quali le caratteristiche dei suoli, la disponibilità di risorse, il valore identitario dei prodotti realizzati, come nel caso delle Denominazioni di Origine e delle Indicazioni Geografiche.

Questo è lo scenario. Quali sono gli elementi distintivi dell’offerta di lavoro?  

A poter offrire lavoro sono potenzialmente le 1.112.504 aziende agricole italiane, così come rilevate dall’ISTAT nel Censimento dell’Agricoltura 2020, che occupano una superfice complessiva di quasi 12,5 milioni di ettari e, quindi, con una superfice media di circa 11 ettari. Quest’ultimo valore, in crescita di ben il 40% rispetto al valore registrato nel 2010, indicherebbe una crescita dimensionale potenzialmente prodromica a una maggiore competitività e potere contrattuale nei confronti degli attori delle filiere, oltre che ad un rapporto più strutturato con la manodopera.

In realtà, le evidenze statistiche raccontano che circa l’85% delle imprese ricorre esclusivamente al lavoro del conduttore e dei suoi familiari, con un conseguente residuale 15% che si avvale di manodopera extrafamiliare. Quest’ultima, nel complesso, fornisce un terzo dei complessivi 214 milioni di giornate di lavoro utilizzate nelle aziende agricole italiane. Significativo, di contro, che siano gli imprenditori a lavorare per il 52% delle giornate totali.

I dati appaiono coerenti con l’indicatore relativo alla dimensione economica delle aziende, misurata sulla base delle Produzioni Standard e con buona approssimazione identificabile con il fatturato. Il Censimento 2020 evidenzia che l’83,6% delle aziende ha una dimensione economica inferiore ai 50.000 € e il 73% ai 25.000 €. Sono valori evidentemente inadeguati al ricorso a manodopera esterna e, comunque, discendenti dalla pratica di colture a bassa produttività e con un contenuto fabbisogno di lavoro.

In sintesi, si è di fronte ad una tipologia datoriale che – per una parte numericamente significativa, anche se non prevalente in termini di contributo alla produzione nonché per motivazioni strutturali – non ricorre al mercato del lavoro agricolo.

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