Pesce allevato in Italia garanzia di qualità. Api: necessaria indicazione di origine anche al ristorante

“E’ necessario far conoscere al consumatore l’origine del prodotto, non solo al supermercato, dove è già obbligatorio, ma anche al ristorante, dove non abbiamo informazioni sul pesce che scegliamo, né conseguentemente, garanzie di tracciabilità”.

Pier Antonio Salvador, presidente dell’API, l’Associazione dei Piscicoltori di Confagricoltura che rappresenta il 90% delle aziende di acquacoltura italiane, evidenzia l’importanza di una maggiore informazione sul pesce che viene consumato nella ristorazione, soprattutto nel periodo estivo, in cui c’è un notevole incremento della domanda proporzionale all’aumento del flusso turistico nel nostro Paese.

“Eppure – ricorda Salvador – pur essendo l’Italia il primo consumatore al mondo di spigole e orate, siamo in grado di esaudire appena il 20% della richiesta con la produzione degli allevamenti italiani. Il restante 80% lo importiamo”.

L’API si sta battendo, anche a livello europeo, affinché l’origine del prodotto sia obbligatoria non solo nella GDO: questo, secondo l’associazione, valorizzerebbe l’acquacoltura italiana, che ha i più elevati standard di sicurezza alimentare e salubrità, grazie al costante lavoro delle imprese del comparto in termini di innovazione e certificazione della sostenibilità. “Anche sul fronte dell’alimentazione negli allevamenti c’è stata una grande evoluzione – aggiunge Andrea Fabris, direttore dell’API – che ha ulteriormente migliorato la qualità del prodotto e favorito al contempo la salvaguardia dell’ambiente marino”.

Sul fronte delle caratteristiche organolettiche, i pesci allevati in Italia sono ricchi di Omega-3, di vitamina D e sono molto digeribili: un bambino è in grado di assimilarli già dall’ottavo mese. Sono poveri di colesterolo e forniscono appena un centinaio di calorie per ogni etto di prodotto, diventando a tutti gli effetti un alimento dietetico, ideale anche per sportivi e anziani.

“L’acquacoltura italiana potrà essere ancora più sostenibile (non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico) e competitiva – conclude Salvador – se ci sarà un forte impulso al suo sviluppo, fornendo a questa attività agricola più spazio e garantendo una maggiore semplificazione burocratica. Attualmente, per quanto riguarda la maricoltura, a fronte di 8.000 km di coste, sono attive solamente 21 concessioni off-shore, mentre altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ne hanno centinaia. L’Italia potrebbe insomma supplire alla domanda crescente di consumo del pesce, favorendo la creazione di nuovi posti di lavoro nelle aree rurali e costiere”.