Agricoltura06/02/2024 16:40

Proteste agricoltori cicliche negli anni perché peggiorano condizioni settore, da politiche Ue a industria. E l’abbandono avanza

yes
image_pdfimage_print

Le proteste degli agricoltori non sono nuove né in Italia né in Europa, accadono a cadenze regolari dato che le condizioni che le generano peggiorano e non migliorano. In Italia sembrano soprattutto fare riferimento al basso prezzo pagato agli agricoltori per i loro prodotti, rispetto al prezzo finale di vendita, ai costi crescenti di carburanti, concimi e diserbanti, oltre che alla burocrazia e alle politiche green di Bruxelles.  Non possiamo affrontare tutti questi argomenti in un testo breve, ma alcune questioni generali possono essere accennate, soprattutto per il nostro paese.

Nei decenni del dopoguerra l’agricoltura italiana ha affrontato un grande processo di modernizzazione cercando di adeguarsi ad un modello industriale rivolto a ridurre i costi ed aumentare la produzione unitaria per cercare una maggiore competitività. L’evoluzione dei mercati, soprattutto dopo l’accordo GATT e l’Uruguay Round, è purtroppo andata verso una globalizzazione che premia pochi grandi produttori, soprattutto per le cosiddette commodities e un altrettanto ridotto numero di multinazionali che hanno in mando la distribuzione.  In questo contesto l’Italia ha visto ridursi drasticamente la possibilità di competere puntando su alte produzioni e bassi costi. Il risultato è che abbiamo abbandonato più di nove milioni di ettari di aree agricole. Le aree di agricoltura intensiva che possono in qualche modo reggere la concorrenza, sempre beneficiano di sussidi della PAC, riguardano circa il 25 % del territorio rurale mentre il resto è in stasi o recessione.

In questo contesto, il margine di competitività che l’Italia si è ritagliata riguarda solo la qualità, ma in un quadro in cui l’industria agroalimentare impiega in misura crescente materie prime, ed anche semilavorati, importati dall’estero. Non è una novità nella nostra storia recente, ma se importare ferro e produrre meccanica di precisione può essere conveniente, con il vantaggio di degradare meno l’ambiente con le attività estrattive, se non coltiviamo più la terra non solo siamo sempre più dipendenti dall’estero, ma degradiamo irrimediabilmente sia l’ambiente che il paesaggio, un valore aggiunto non riproducibile del nostro sistema agricolo.  

In buona sostanza, se pensiamo di diventare sempre di più un paese trasformatore di prodotti alimentari acquistati sui mercati internazionali, per la maggior parte dei nostri agricoltori non c’è futuro. A livello europeo si verificano gli stessi problemi: l’Europa produce meno di quanto esporta e l’abbandono avanza.  In realtà, anche solo la manutenzione del territorio assicurata dagli agricoltori andrebbe remunerata, senza scordare che con l’attuale evoluzione climatica pensare di ottenere ogni anno il massimo possibile richiede moltissimi input energetici esterni, non solo come meccanizzazione e chimica, ma anche come acqua per irrigare che sarà sempre più scarsa. Un prezzo giusto pagato all’agricoltore, ma per produzioni di alta qualità e più compatibili con le tendenze climatiche, è una strada obbligata, non solo per le aree più produttive, ma per tutte le aree interne.

Mauro Agnoletti

image_pdfimage_print