Carne coltivata, con il foie gras di laboratorio anche il lusso diventa sintetico. E si sdogana l’ipocrisia green

La carne coltivata torna a far parlare di sé, questa volta con uno dei prodotti di punta della tradizione gastronomica francese: il foie gras.

L’azienda di tecnologia alimentare Gourmey è diventata la prima società a richiedere l’accesso al mercato dell’UE per la carne coltivata, in seguito alla presentazione della domanda alla Commissione europea giovedì.

La startup francese era già balzata alle cronache nel 2022 a seguito di un finanziamento di 47,7 milioni di dollari che mirava a costruire il  più grande laboratorio di carne coltivata d’Europa, con un impianto di produzione di 46.000 piedi quadrati (circa 14mila metri quadri) e un centro di ricerca e sviluppo a Parigi.

Come avvenuto per altre aziende concorrenti nel settore della carne coltivata, anche in questo caso gli investimenti sono stati guidati da società che lavorano nel settore high tech e come acceleratori di start up.

L’investimento, scrive Forbes, era stato guidato allora da Earlybird Venture Capital, una società focalizzata sugli investimenti in società tecnologiche europee. Con loro anche altre società legate al mondo high tech come Air Street Capital, Heartcore Capital, Keen Venture Partners e Partech nato a San Francisco.

Oltre alla domanda presentata questo giovedì alla Commissione Ue Gourmey ha anche richiesto l’approvazione nei mercati di Regno Unito e Svizzera, oltre a quelli di Singapore e Stati Uniti che rappresentano le nazioni guida (con Israele) nel settore della carne coltivata.

“C’è molta polarizzazione, dobbiamo davvero avere una conversazione basata sulla scienza e un dialogo pubblico, niente che sia troppo ideologicamente guidato. Questi tipi di cibo faranno parte delle diete dei prossimi anni e come invenzione europea abbiamo davvero bisogno di preservare questa sovranità tecnologica”, ha dichiarato Nicolas Morin-Forest, CEO di Gourmey, in un’intervista con POLITICO.

Da Philippe Daverio a Franco Maria Ricci, il foie gras tra lusso e tradizione

Se finora i discorsi sulla carne coltivata si sono concentrati sul principio di sostenibilità ambientale, benessere animale e sicurezza alimentare, con la promessa di sfamare una popolazione in costante crescita e facendo leva su temi di ordine etico e morale, ora la sfida di Gourmey si sposta su un piano diametralmente opposto. Produrre Foie gras per un consumatore alto spendente, un prodotto di nicchia riservato alla fascia alta della popolazione mondiale.

Come conciliare con la sostenibilità ambientale un prodotto di lusso alimentare che richiede enormi capacità energetiche per la sua produzione? Un vezzo per palati fini insomma, nel segno di una certa ipocrisia occidentale.

Un prodotto che nasce in laboratorio e che del foie gras porta il nome, ma non la storia e la tradizione. E che come tale nasce privo di “anima”, perché mangiare non significa saziare solo il proprio appetito ma anche nutrire lo spirito con tutto ciò che un cibo porta dietro di sé in termini culturali.   

Poco meno di dieci anni fa a “Fuori Onda” su La7 lo storico dell’arte Philippe Daverio così parlava in difesa del fois gras e della tradizione alimentare:

Fa parte della nostra cultura. Quello che abbiamo ereditato fa parte del nostro modo di essere. Se il foie gras c’è in Ungheria ed anche in Aquitania è perché ce lo portavano i romani antichi. È la nostra storia. Quando mangio un pezzo di foie gras mangio anche una parte della nostra storia, va oltre il gusto.

La chiave della questione è accettare la propria ipocrisia. Noi possiamo vivere perché siamo elegantemente ipocriti. Questo è il motivo per cui mettiamo la seta al collo, il motivo per cui mettiamo ancora le scarpe di cuoio, però è molto meglio avere le scarpe di cuoio ed essere ipocriti che essere totalmente integralisti e andare a piedi nudi con la plastica.”

Mangiare foie gras è un lusso, qualcosa di superfluo si obietterà, ma l’uomo non è un animale monastico con buona pace dei Cinici e dei Padri del deserto. Forse qualcosa di effimero ma per dirla con Franco Maria Ricci, uno dei più grandi editori che il nostro paese ha conosciuto, l’arte e l’effimero abitano spazi contigui e intercomunicanti: “siamo sensibili alle rovine, alle eleganze dei tempi andati, alle testimonianze delle feste finite, perché siamo esseri mortali.”

E dunque il lusso riprodotto su scala industriale perde la sua caratteristica principale che risiede nell’esclusività e nella rarità. Un concetto paragonabile all’opera d’arte che vive della sua unicità ed irripetibilità e che pure perde la sua “aura” -sosteneva Walter Benjamin– nell’epoca della riproducibilità tecnica. Mangiare foie gras prodotto da alcune multinazionali nei bioreattori equivale a tornare a casa con un affiches della Gioconda pensando di aver acquistato la vera Monnalisa.

Significa infine perdere per strada i territori della Dordogna e dell’Alsazia, i Pirenei e l’Ungheria, dimenticare l’Egitto e Roma dove è nato il foie gras a favore di un capannone industriale a qualche miglio da Parigi.

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