ZOOTECNIA, FILIERA SCRIVE A FOA: BASTA DA RAI TV DI STATO TEOREMI PRECOSTITUITI PER FARE SENSAZIONALISMO. CI SI BASI SU SCIENZA. LE LETTERE

C’è chi insiste sul Coronavirus creato in laboratorio come arma chimica per mettere in ginocchio l’economia cinese e poi sfuggito di mano e c’è chi persevera sul fatto che sia collegato alla zootecnia e che l’inquinamento globale dipenda dalla ruminazione e dai peti delle vacche. Tra questi figura anche la televisione di Stato.

La filiera agricola ed agroalimentare rappresentata dalla filiera produttiva, (Agrinsieme), e dagli industriali, (Assolatte, UnaItalia, Assocarni, Assalzoo, Assica e Carni Sostenibili), ha finito la pazienza e scrive al ministro delle Politiche agricole Teresa Bellanova e al presidente Rai Marcello Foa: “messaggi dalla televisione di Stato fuorvianti e pericolosi basati su teoremi precostituiti senza fondamento scientifico”. E invitano a “una riflessione” e a un lavoro giornalisticomeno incline al sensazionalismo ed al pregiudizio, più scientifico e più equilibrato”. Chiedendo una comunicazione a viso aperto. E poi parlano di “inaccettabile atteggiamento che sta prendendo piede in numerose trasmissioni della televisione pubblica” e di “correlazione falsa, grave e fuorviante”. Infine: “trasmissioni, spesso animate dalla personalistica volontà di propagandare un modello di vita alternativo a quello comunemente diffuso” e di “informazioni imprecise, frammentate e non contestualizzate”.

Qui di seguito AGRICOLAE riporta il testo della lettera e a pie di pagina il documento in PDF:

“Egregio Presidente, Gentile Ministra,

come rappresentanti della produzione agricola ed agroalimentare, anche in forma associata, desideriamo intervenire – in un momento certo non facile, ma che forse ancora di più, proprio in quanto emergenziale, necessita della massima attenzione – su alcuni approcci che la televisione di stato sta promuovendo riguardo la comunicazione concernente il cibo e l’alimentazione.

Ci riferiamo in particolare a due recenti trasmissioni (Sapiens, la puntata del 28 marzo 2020 e “Indovina chi viene a cena” del giorno successivo) che hanno puntato la loro attenzione sulla zootecnia e sui sistemi allevatoriali moderni e razionali.

Il messaggio diffuso durante queste trasmissioni è stato a nostro avviso tanto pericoloso quanto fuorviante. Spinge il telespettatore a sviluppare immotivate paure nonché ragionamenti che si basano più su teoremi precostituiti, avulsi da una completa analisi dei dati e delle situazioni ed inducendo anche a delle scelte di consumo del tutto ingiustificate.

E’questo ad esempio il messaggio che lega l’allevamento intensivo all’inquinamento del pianeta o addirittura di quello che accosta in maniera azzardata e davvero improvvida, specie nell’attuale delicato contesto, lo sviluppo della pandemia di COVID-19 ai modelli moderni e razionali di allevamento.

Il tutto ingenerando confusione tra i nostri allevamenti e quelli di Paesi lontani che non soddisfano certo tutti gli elevatissimi standard in materia sanitaria, veterinaria e di benessere animale che sono da anni imposti in Unione europea.

Tutto ciò è a dir poco ingiustificabile ed inaccettabile.

Tanto più che gli stessi autori prevedono di replicare in futuro questo messaggio come un vero e proprio mantra a danno di operatori seri e responsabili che, come sempre fanno, anche soprattutto in questo periodo, stanno garantendo responsabilmente gli approvvigionamenti alimentari a beneficio di tutta la collettività che deve far fronte alla inedita esperienza della limitazione delle movimentazioni.

C’è chi ha paragonato questa terribile situazione ai passati conflitti bellici. Sicuramente in quelle tristi ed atroci situazioni c’era una aggravante non da poco che in questa emergenza, fortunatamente, manca: la indisponibilità di cibo sufficiente ed a prezzi contenuti che invece in questo frangente tutta la filiera “dal campo alla tavola” sta assicurando con tutto il suo impegno e sempre in linea con gli alti requisiti qualitativi che i nostri produttori sanno garantire.

Non possiamo con messaggi negativi e tendenziosi mettere a repentaglio questa ricchezza, approfittando peraltro di un momento davvero delicato che dovrebbe richiamare tutti ad un più elevato senso di responsabilità e di senso comune.

La filiera agroalimentare, dalla fornitura dei mezzi tecnici sino alla distribuzione ed alla ristorazione, rappresenta quasi il 20 per cento del PIL del Paese e quasi il 10 per cento dell’export agroalimentare.

E’ il prerequisito allo sviluppo ed alla sostenibilità del nostro Paese.

Invitiamo quindi ad una riflessione attenta su questi messaggi ed anche alla impostazione delle prossime puntate di queste trasmissioni che va a nostro avviso sicuramente corretta verso un approccio meno incline al sensazionalismo ed al pregiudizio, più scientifico e più equilibrato.

Il tutto anche con il nostro apporto.

Siamo pronti – piuttosto che a subire le incursioni notturne dei giornalisti – a confrontarci con la comunicazione a viso aperto, invitando chi ha in carico questa importante funzione di informazione dei cittadini a visitare le nostre aziende e i nostri impianti. Di giorno, alla nostra presenza; perché non abbiamo nulla da nascondere se non la fierezza e la piena responsabilità di chi è convinto di svolgere un compito essenziale e di farlo in maniera corretta e in linea con gli standard che ci teniamo a rispettare con il nostro quotidiano impegno.

Grazie per l’attenzione e in attesa di eventuali vostri riscontri, inviamo i più cordiali saluti”.

Di seguito il testo della lettera dell’industria:

“scriviamo in rappresentanza delle associazioni della filiera agroalimentare italiana dei prodotti di origine animale, per segnalare l’inaccettabile atteggiamento che sta prendendo piede in numerose trasmissioni della televisione pubblica, volto a creare un pericoloso quanto insussistente collegamento fra la zootecnia come causa all’origine dell’epidemia di coronavirus, oltre che a screditare i produttori italiani di alimenti di origine animale.

Il settore agro-alimentare italiano – in particolare quello legato alla zootecnia – sta facendo un enorme sforzo per far sì che, nonostante le difficoltà oggettive e le limitazioni, sugli scaffali e nei frigoriferi di negozi e supermercati si possano continuare a trovare alimenti e prodotti sicuri e di qualità. L’urgenza con cui ci appelliamo a Voi, sottolineando l’inaudita gravità di quanto denunciamo, è legata al fatto che puntare il dito contro allevatori, lavoratori e imprese di trasformazione che nel mezzo della più terribile pandemia dell’epoca contemporanea continuano a lavorare per garantire a tutti alimenti nobili, è scorretto ed intollerabile.

Parliamo di oltre 250.000 lavoratori addetti al mondo delle produzioni zootecniche, 270.000 aziende agricole e di trasformazione, che generano un fatturato per il nostro Paese di oltre 40 Miliardi di Euro, che con profonda assunzione di responsabilità sono al servizio del Paese e dei consumatori, per garantire sicurezza e, almeno a tavola, un po’ di serenità.

Se guardiamo solo alla programmazione della scorsa settimana, rinveniamo almeno due trasmissioni che additano il sistema zootecnico come maggiore responsabile dell’inquinamento terrestre, che stigmatizzano l’allevamento facendo intendere che il cattivo allevatore non sia l’eccezione, ma la regola, fino ad arrivare a suggerire pericolose ed insensate associazioni fra coronavirus e produzione e consumo di carne, mai dimostrate. E non stiamo parlando solo di talk show, dove le opinioni volano sull’onda emotiva e dove queste cose accadono e non sono certo meno gravi, ma di programmi che si dicono di inchiesta o di approfondimento: nello specifico ci riferiamo alla puntata di “Sapiens” di Mario Tozzi andata in onda il 28/03/2020 e alla puntata di “Indovina chi viene a cena”, condotta da Sabrina Giannini del 29/03/2020.

Il collegamento tra la pandemia in corso e gli allevamenti occidentali è stato al centro dell’ultima puntata di “Indovina chi viene a cena”. Una correlazione falsa, grave e fuorviante, che Sabrina Giannini ha annunciato di voler proseguire nelle prossime puntate – e che associa l’epidemia da Coronavirus con il sistema produttivo agroalimentare occidentale e porta i telespettatori – già spaventati dall’attuale situazione – a un atteggiamento di sospetto e paura verso il proprio modello alimentare.

Alla luce delle anticipazioni della prossima puntata di “Indovina chi viene a cena”, abbiamo il fondato timore che l’autrice, proseguendo nel suo errato sillogismo iniziale, continuerà a indurre i telespettatori nel convincimento scientificamente scorretto che pandemia da Coronavirus e allevamenti convenzionali siano in qualche modo collegati.

Il danno, amplificato dall’attuale situazione emergenziale, potrebbe essere irreparabile per i settori che, in questo momento, tengono in piedi l’economia italiana e consentono agli italiani di continuare ad approvvigionarsi di beni alimentari primari.

Tali trasmissioni, spesso animate dalla personalistica volontà di propagandare un modello di vita alternativo a quello comunemente diffuso, producono un enorme danno a carico dei principali settori del Made in Italy e dei consumatori.

Saturare i telespettatori con informazioni imprecise, frammentate e non contestualizzate, suggerendo la presunta pericolosità del sistema alimentare o l’esclusione di un cibo a prescindere dalle reali necessità di ciascuno, non solo è sbagliato, ma è pericoloso perché minaccia la salute.

E’ essenziale che la RAI, consapevole del fondamentale ruolo che il servizio pubblico riveste, in particolare in momenti come questo che stiamo vivendo, presti molta attenzione a quei messaggi che, privi di fondamento scientifico, puntano a destabilizzare ulteriormente il fragile equilibrio che regna all’interno delle famiglie italiane.

Speriamo davvero che vogliate prendere in considerazione il nostro appello per un’informazione più distesa, equa ed imparziale, che non cerchi a tutti i costi improponibili capri espiatori, quando tutti stiamo cercando di uscire compatti da una pandemia globale.

Cordiali saluti.

Qui di seguito AGRICOLAE pubblica la lettera in PDF:

LETTERA FILIERA ALLA RAI E A MINISTRO BELLANOVA

LETTERA ALLA RAI DA PARTE DELL’INDUSTRIA

Per saperne di più:

CORONAVIRUS: COLDIRETTI, BASTA FAKE NEWS SU STALLE ITALIANE

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Mentre nelle stalle italiane si lavora a pieno regime per garantire le forniture di latte e carne alle famiglie italiane, il crollo dei livelli di inquinamento nella pianura padana per il blocco della circolazione delle auto e la limitata operatività delle industrie smentisce una delle piu’ diffuse fake news sull’impatto ambientale dell’allevamento nazionale. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che l’emergenza Coronavirus ha fatto emergere la centralità dell’attività di allevamento italiano per non far mancare le necessarie forniture alimentare alla popolazione, in un momento di difficoltà per i trasporti e per i transiti alle frontiere.

 

I livelli di inquinamento sono fortemente abbassati con le fabbriche chiuse e le stalle aperte e dopo oltre un mese di restrizioni, zone rosse e chiusura di attività industriali imposte dal Coronavirus – spiega la Coldiretti – i livelli di biossido di azoto, un marcatore dell’inquinamento, si sono ridotti chiaramente come mostrano le immagini del satellite Sentinel 5 del programma europeo Copernicus, gestito da Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa).

 

Smascherata la fake news sulle reali responsabilità reali dell’inquinamento dell’aria, vanno anche condannati – sottolinea la Coldiretti – i fantasiosi tentativi fuori dalla realtà di far immaginare un collegamento, del tutto inesistente, tra l’attività di allevamento nazionale e l’epidemia coronavirus, come purtroppo ipotizzato anche da qualche trasmissione televisiva pseudo scientifica, con il pericoloso effetto di screditare e depotenziare la capacità produttiva dell’allevamento nazionale e di favorire le speculazioni.

 

Un settore che al contrario alimenta economie circolari con la produzione di letame e liquami indispensabili per fertilizzare i terreni e alla base dell’agricoltura biologica con l’Italia che – riferisce la Coldiretti – detiene la leadership europea in termini di numero di aziende ma anche la produzione di energie rinnovabili come il biogas.

 

La carne e il latte italiani nascono da un sistema di allevamento che per sicurezza e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne attraverso le fattorie e i mercati di Campagna Amica” ha dichiarato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “scegliere carne Made in Italy significa anche sostenere un sistema fatto di animali, di prati per il foraggio e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado ambientale spesso da intere generazioni, anche in aree difficili”.

 

L’emergenza coronavirus ha fatto emergere tutta la centralità delle filiera nazionale di latte e carne dopo che stalle, ricoveri e ovili che si sono svuotati e la Fattoria Italia che nell’ultimo decennio ha perso – sottolinea la Coldiretti – solo tra gli animali più grandi, circa un milione di pecore e agnelli, oltre a quasi 800mila maiali e 200mila bovini e bufale. Un addio che – precisa la Coldiretti – ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori, spesso a causa dei bassi prezzi pagati per il latte e per la concorrenza sleale dei prodotti di dubbia qualità importati dall’estero. Ogni giorno 5,7 milioni di litri di latte straniero attraversano le frontiere e invadono l’Italia con cisterna o cagliate congelate low cost in piena emergenza coronavirus, proprio mentre alcune aziende di trasformazione cercano di tagliare i compensi riconosciuti agli allevatori italiani, con la scusa della sovrapproduzione, secondo una analisi della Coldiretti sulla base dei dati del Ministero della salute relativi ai primi quindici giorni del mese di marzo 2020 sui flussi commerciali dall’estero in latte equivalente.

 

Una tendenza preoccupate che va combattuta – conclude la Coldiretti – con un adeguato riconoscimento economico e sociale di quanti hanno la responsabilità in questo momento di garantire alimenti essenziali al giusto prezzo di fronte alla difficile esperienza della limitazione delle movimentazioni e del blocco di molte attività funzionali all’allevamento come la meccanica agricola.

ZOOTECNIA, SERPILLO, UCI: RAI TV DI STATO SEGUA VERITA, NON OPINIONI E FALSI SCOOP MEDIATICI. SULLA PELLE DI CHI E’ IN PRIMA LINEA

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“Inopportuna querelle comunicativa da parte della Rai in questo momento. La tv di stato e chi è pagato dalla tv di Stato dovrebbe avere riguardo per il nostro Paese, non per fare tifoseria del patrimonio Made in Italy, ma semplicemente per dovere di verità che va oltre qualsiasi opinione e interesse di scoop mediatico o altri settori che possono avere interesse a colpevolizzare il segmento zootecnia”. Così il presidente dell’Unione coltivatori italiani – Uci Mario Serpillo in merito alle trasmissioni mandate in onda sulla Rai nel corso delle quali si colpevolizza il settore zootecnico per quanto riguarda il suo ruolo nell’inquinamento e addirittura nella diffusione del coronavirus.

“Oggi nessuno risponde più agli interessi generali del Paese ed è inammissibile che la tv pubblica confonda interessi personali mossi da alcuni ‘sentito dire’. Ci si basi su verità scientifiche.

Non è possibile che anche la televisione di Stato propini fake news. Dobbiamo governare questi strumenti nell’interesse della verità e nell’ottica della tutela della salute dei consumatori. Non c’è agricoltura o agroalimentare di altri paesi che non sia controllato e salubre come quello italiano”, prosegue Serpillo ricordando la battaglia ‘ossessiva’ portata avanti dall’Italia in Ue proprio in ambito di certificazione, sostenibilità e sicurezza della filiera.

“Un comportamento questo – conclude Serpillo – ancora più grave in questo momento storico in cui la filiera agricola ed agroalimentare è impegnata in prima linea a garantire la continuità degli approvigionamenti sugli scaffali rischiando sulla propria pelle”.

Era già stato scritto in merito al Glifosate, al centro di una diatriba politica, economica e della salute, in seguito assolto dalla sentenza della Corte di giustizia europea secondo la quale “non sussistono elementi per inficiare la legittimità sull’uso del glifosato”.

GLIFOSATE, LETTERA APERTA DEL MONDO SCIENTIFICO A GIORNALISTA DI INDOVINA CHI VIENE A CENA: STUDIATE PRIMA DI FARE ALLARMISMO. E, COME TV PUBBLICA, SENTITE TUTTE LE VOCI

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AGRICOLAE riceve e pubblica una lettera aperta da parte del gruppo Seta a firma di Donatello Sandroni, giornalista specializzato con laurea in scienze agrarie e dottorato in ecotossicologia, a Sabrina Giannini, giornalista di indovina chi viene a cena, in merito alla puntata andata in onda sul Glifosate e alla polemica che ne è scaturita sui social. In particolare a quanto dichiarato dalla giornalista agli agricoltori che quotidianamente lavorano la terra.

Lettera aperta a Sabrina Giannini, conduttrice su Rai 3 del programma “Indovina chi viene a Cena”.

Di Donatello Sandroni

Talvolta il sarcasmo sui social può rivelarsi gratuito e imprudente al contempo, specialmente nell’era in cui gli screenshot permettano di salvare traccia delle discussioni stesse.

Gratuito, si diceva, per la fatuità delle argomentazioni su cui poggia. Imprudente, perché sarebbe meglio verificare sempre con chi si abbia a che fare, prima di assumere atteggiamenti supponenti quando non addirittura sbruffoni. Una regola aurea che vale doppio quando ci si avventuri su terreni circa i quali non si possieda per lo meno una sufficiente infarinatura. Regola che non sembra particolarmente radicata in Sabrina Giannini, conduttrice di “Indovina chi viene a cena”, programma di Rai3 che spesso rilancia messaggi inquietanti sui prodotti per la difesa delle colture, i famigerati “pesticidi”.

Il 14 ottobre 2019, l’ennesimo capitolo. “Il Santo Gran”: questo il titolo della puntata incentrata sullo stagionato tema della pasta al glifosate, sbocciato nei primi mesi del 2017 con le ormai note analisi di diverse marche di pasta. Analisi commissionate da Granosalus, neonata associazione di Saverio De Bonis, oggi Senatore ex Cinque Stelle. Ex, in quanto espulso dal partito per alcune omissioni sul proprio passato giudiziario.

Nonostante l’effimero tema della “pasta al glifosate” stia quindi per accendere la terza candelina, pare rimanga un evergreen buono per qualsiasi stagione. E a nulla vale che siano già stati forniti approfondimenti più che sufficienti per bollare l’intera querelle come la classica montagna che partorisce il topolino.

A carico dei consumatori non vi è infatti alcun rischio sanitario derivante dai residui nei cibi, posizione ribadita dalle Autorità europee appositamente preposte, ma giornali e programmi televisivi vanno comunque riempiti e pare non vi sia nulla di più intrigante di un erbicida che finisce nel cibo italiano per antonomasia: la pasta. Se poi la multinazionale è americana, bingo. Poco importa che quei residui siano perfettamente nei limiti legali, come pure siano da centinaia a migliaia di volte inferiori alla soglia di sicurezza sanitaria per l’Uomo. Senza contare poi che durante la cottura l’idrofilia di glifosate e la sua “fragilità” strutturale fanno sì che di quel residuo trovato nella pasta cruda, una volta cotta e scolata, ne resti solo una frazione, essendone finita buona parte nell’acqua di cottura e tramite questa nel lavandino. Quindi l’affare glifosate nella pasta è sostanzialmente il Nulla. Una non-notizia sia dal punto di vista scientifico, sia da quello normativo. Ma sul Nulla a volte si possono costruire intere puntate e catturare in tal modo l’attenzione del pubblico.

In fondo, per evitare tali servizi basterebbe guardare qualcos’altro e il problema non si porrebbe neanche. Cosa che personalmente faccio da anni, salvo andarmi a rivedere le puntate su web quando mi vengano segnalate da miei contatti professionali, scandalizzati per quanto è stato confezionato e servito via etere. Da quando però i social ne hanno integrato la diffusione, anche Facebook può diventare una rete in cui, volenti o nolenti, si finisce “taggati” da chi sia curioso di sapere tu, esperto in materia, cosa ne pensi di quella data puntata. E anche se non si affonda più di tanto il dito nella piaga, ricordando solo che tu mai verrai intervistato, altrimenti il giochino dell’allarmismo finisce, si può essere comunque ripagati con il sarcasmo di cui all’incipit dell’articolo.

Sabrina Giannini, nell’afflato difensivo del proprio operato, inizia dapprima pestando qualche mina con l’amico personale Marco Pasti, membro anch’egli, come me, del Gruppo SeTA, ovvero quelle Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura cui aderiscono decine di docenti, ricercatori e tecnici dal bagaglio professionale di altissimo profilo. A Marco la conduttrice chiede come si comporterebbe se ad ammalarsi di cancro fosse qualche suo parente. Domanda vuota del benché minimo senso, perché parte dal presupposto altrettanto vuoto che sia stato appunto glifosate, in modo certo, a causare quel cancro. Questo oggi. Con lo stesso approccio, infatti, potrebbe essere domani una qualsiasi altra cosa: il 5G, una crema spalmabile, le protezioni anti-UV, i vaccini e perfino quelle chemioterapie che i tumori, appunto, combattono. Non soddisfatta di ciò, Sabrina Giannini chiede a Marco Pasti per chi lavori, cioè l’eterno “Chi ti paga?” usato da chi stia annaspando in un confronto impari. La soglia della comicità si supera però quando la conduttrice dice a Marco Pasti “Certo, se tu fossi un agricoltore… o chi vive in campagna”. Perché Marco Pasti non solo ci vive davvero in campagna, ma ci lavora proprio come agricoltore. Ed ecco perché non hanno chiamato lui a valutare glifosate, domanda che in modo sarcastico Sabrina Giannini gli pone, esortandolo peraltro a una non meglio precisata onestà intellettuale. Ognuno deve fare il proprio mestiere, infatti, e Marco fa splendidamente il suo di produttore di cibo. Magari si potesse dire altrettanto di molti miei colleghi giornalisti ai quali, sì, andrebbero mossi frequenti richiami a una maggiore onestà intellettuale.

Poi arriva anche a me e al contatto che mi ha taggato la nostra buona dose di sfottò, con un commento a noi dedicato: “i signori [omissis] e Donatello Sandroni sanno più dell’Agenzia per la ricerca sul cancro, cioè il meglio dell’epidemiologia mondiale. Complimenti, com’è che nessuno ne è al corrente?“. Ora, la cosa, devo ammettere, più che indispettirmi mi onora. Una giornalista di una rete pubblica, conduttrice di una trasmissione molto seguita, che inconsapevole dell’errore che sta commettendo attacca me: un collega che opera purtroppo per lei come divulgatore scientifico, scrivendo per lo più su testate di stampa specializzata e ferrato, guarda caso, soprattutto su glifosate. Uno che peraltro se lo può permettere di scrivere ciò che scrive, grazie a una laurea in Scienze Agrarie, un dottorato in ecotossicologia (“Chimica, biochimica ed ecologia degli antiparassitari”) e trent’anni di esperienza nello specifico mondo dei prodotti per la difesa delle piante. Che dire quindi? Una tale nomination da parte di Sabrina Giannini è ai miei occhi una medaglia fra le più preziose in una carriera intrapresa quasi involontariamente, più per passione che per necessità. Una carriera, sarà bene ricordarlo, in cui la mia credibilità si è consolidata studiando per la metà del tempo e scrivendo solo nell’altra metà. Cosa purtroppo divenuta ormai bizzarra, studiare prima di scrivere. Tanto bizzarra che a farla pare ormai siano rimasti pochi colleghi giornalisti, essendo spesso interessati i più a sparare “pezzoni choc” che a capirne il senso.

Io invece studio. Tanto. E mattoni pesanti: roba tipo i report periodici di EFSA, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, la quale dopo ponderose valutazioni ha stabilito contrariamente a IARC che glifosate non è da considerarsi un potenziale cancerogeno per l’Uomo, a dispetto delle millantate migliaia di pubblicazioni scientifiche che affermerebbero il contrario. Una conclusione positiva sull’erbicida cui sono giunte anche l’Agenzia europea per la chimica (ECHA), l’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BFR), le autorità svizzere (FSVO) e francesi (ANSES), ma anche le statunitensi Environmental Protection agency (EPA) e National Toxicology Program (NTP). A queste si sono aggiunte le Autorità sanitarie canadesi (Health Canada), quelle australiane (APVMA), neozelandesi (Environmental Protection Authority), brasiliane (ANVISA), giapponesi (Food Safety Commission of Japan) e perfino coreane (Rural Development Administration). Non mancano infine all’appello nemmeno le conclusioni contrarie a quelle della IARC prodotte dal lavoro congiunto di scienziati FAO e OMS. Nemmeno per l’Organizzazione mondiale della Sanità in quanto tale, infatti, glifosate sarebbe un “probabile cancerogeno”. Già, l’OMS: quella di cui IARC è solo una costola. (Rif. bibliografici da 1 a 11)

[nda: IARC è IARC. Non è l’OMS, come spesso i giornalisti generalisti hanno erroneamente riportato, talvolta giocando pure sull’equivoco].

Una IARC che spende circa il 90% del suo budget per fare cose meravigliose, come progetti globali, indagini e via discorrendo. Una IARC di cui, a sua volta, è costola nella costola quel gruppo che a Lione produce monografie sulle molecole, tipo appunto glifosate, classificandole in base al concetto di “pericolo potenziale intrinseco” e non di “rischio reale per l’uomo”, come invece fanno tutte le autorità sopra riportate. Non a caso nel gruppo di “probabili cancerogeni” della IARC insieme a glifosate ci sono pure l’acqua calda sopra i 65°C e le bistecche, tanto per dire. Le salsicce e le bevande alcoliche no: quelle sono nel gruppo superiore. Quel gruppo 1 dei “sicuramente cancerogeni” in cui al fianco di benzene, amianto e radiazioni ionizzanti si trovano per esempio le carni lavorate, gli insaccati per dirla semplice, nonché quel bicchier di vino di cui è difficile privarsi durante una buona cena sebbene contenga alcol, un sicuramente cancerogeno anch’esso. Quindi, prendendo ottusamente per oro colato tali classificazioni dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, un tagliere di salumi misti, accompagnato da un paio di bicchieri di rosso, sarebbe da considerare molto più cancerogeno e pericoloso di glifosate, specialmente se accompagnato da un ricco cesto di gnocco fritto. Ognuno tragga quindi le proprie conclusioni circa i pesi e le misure che andrebbero adottati parlando di cancro e malattie altrettanto terribili.

In sostanza, per come è stato concepito e strutturato, il sistema di classificazione per gruppi adottato dalla IARC è del tutto inutile sia per emettere sentenze in tribunale, sia per elaborare una stima dei rischi per l’Uomo. Per realizzare questa vi è infatti bisogno di ben altro che le monografie IARC, le quali a tossicologi, epidemiologi e valutatori dei rischi servono più o meno quanto dei doposci a un subacqueo. Quindi, Giannini, suvvia: va bene che risulta laureata in psicologia e di chimica e tossicologia ha diritto di essere digiuna – e La perdono, perché tutti siamo ignoranti a seconda del tema trattato – ma almeno le basi Le sappia se vuole discutere di temi per i quali, altri sì, sono riconosciuti fra le persone più ferrate e scientificamente preparate, specialmente su glifosate.

Più che un lavoro, il mio, è infatti una scomoda scelta di vita controcorrente, visto l’andazzo anti scientifico che sta ammorbando diversi settori della vita, agricoltura in primis. Non sarò infatti epidemiologo – ha ragione Giannini – ma per competenze, mestiere e passione studio ciò che gli epidemiologi producono e poi do loro voce. Anche perché a differenza di molti commentatori del web, io sono perfettamente in grado di capirlo ciò che essi producono. Un dettaglio che in un mondo normale sarebbe tutto tranne che trascurabile, ma che nella dimensione presente evapora spesso fra sterili contumelie e commenti cretini del tipo “Se ti piace glifosate allora bevitelo!”. Ovvero uno dei più efficaci spartiacque fra esseri pensanti e minus habentens da tastiera i quali, pur utilizzandoli diffusamente, mai si berrebbero prodotti per la cura della casa o della persona, come saponi, candeggina, sturalavandini e deodoranti per le ascelle. E meno male, perché la maggior parte di questi sono tossicologicamente molto peggio di glifosate.

Comprendo quindi bene che nel mainstream del tutto è tossico, tutto è veleno, le multinazionali ci ammazzano per il profitto, quelli come me o come l’amico Marco Pasti diano soverchio fastidio. Lo so, è dura vedere disturbare il coro del “Moriremo tutti!1!!1!! (ma il biologico ci salverà)” da qualche tizio che spieghi coi numeri che cibo e acque sono sicuri. Uno che spieghi, sempre con dati ufficiali, che la tossicologia non è dalla parte degli allarmisti di professione, ma dalla propria, umile divulgatore tecnico-scientifico di settore. Uno che grazie alle competenze specifiche che si è costruito nel tempo, si diletta a smontare articoli, servizi e pubblicazioni pseudo-scientifiche che vengano rilanciate in tv o sul web, magari con la tipica arroganza di chi nulla capisce delle differenze che intercorrono fra test in vitro, in vivo e studi di coorte. L’importante, ormai, pare sia infatti divenuto condividere compulsivamente link ad articoli di cui forse si è letto solo il titolo: ieri contro gli OGM, oggi contro glifosate, domani contro i neonicotinoidi e dopodomani sui fungicidi usati per produrre il Prosecco. E quindi via, si riparte. Quelle pubblicazioni le si analizza per ciò che c’è e anche per ciò che manca. Poi, e solo poi, si scrive, provocando come massima reazione le accuse di non essere attendibili. Perché? Perché sui giornali dove si pubblicano i propri pezzi ci sono i banner delle multinazionali della chimica agraria. E chi vorrebbero ci fosse su siti che parlano di fitoiatria? Produttori di dadi per il brodo? Del resto, testate che non ricevono contributi pubblici e che non possono contare nemmeno su un canone come quello Rai, in qualche modo gli stipendi li devono pur pagare. E meno male che lo fanno, altrimenti non esisterebbe più alcuna fonte riequilibratrice della disinformazione che sempre più spesso viene diffusa sull’agricoltura dalla stampa generalista. Una stampa generalista che spesso rincorre, lei sì, i propri economici interessi legati allo share e ai propri profumati contratti annuali, salvo spacciarsi per paladina dei cittadini agitando streghe che il più delle volte vengono messe al rogo del tutto ingiustamente.

Purtroppo per siffatti soggetti, però, tali commenti sui banner delle “odiate multinazionali” pare siano il massimo che sanno produrre, perché nulla emerge dalle loro contumelie che si cali nel metodo e nel merito di ciò che è stato scritto, confinandosi autonomamente nell’ormai spassoso “ki ti paga?”.

Trovo quindi surreale essere attaccato da una persona che contesta me, stimato/odiato professionista del settore, facendo sterile sarcasmo sul mio non-essere epidemiologo, salvo scrivere da laureata in psicologia un libro su (cito da recensione su Facebook, debitamente catturata a schermo): “Dall’inganno delle «dosi accettabili» allo scandalo dei fanghi di depurazione, dai pesticidi che fanno strage di api ai semi ibridi che minacciano la biodiversità”.

Quindi pare semmai Lei, cara Giannini, a porsi in contrasto con quanto comunemente accettato dalla tossicologia mondiale, quella che appunto ha fissato quelle “dosi accettabili” da Lei incredibilmente definite ingannevoli. Poi, non contenta, cavalca pure il frusto tormentone dei pesticidi che farebbero strage di api, tema sul quale anche in questo caso mi chiedo che competenze Lei abbia per stabilire cosa ci sia di vero e cosa no, perché perfino alcune associazioni ambientaliste come Sierra Club stanno attenuando i toni sull’argomento. E a tal proposito, Giannini, Le do io qualche notizia che agli occhi di chiunque apparirebbe ghiotta: gli usi di “pesticidi” in Italia si sono ridotti di quasi un terzo negli ultimi trent’anni, migliorando anche in modo fenomenale le classificazioni tossicologiche rispetto al passato grazie a un solerte lavoro sia di ricerca (ah… le odiate multinazionali…), sia di normativa (ah… le odiate Autorità europee…). Grazie infatti al processo continuo di Revisione Europea sette molecole su dieci impiegate fino ai primi Anni 90 oggi non vengono usate più. I soli insetticidi sono dimezzati in tonnellate dal 2000 a oggi, continuando nonostante ciò a essere additati come fonte di molteplici Armageddon sanitari e ambientali. Infine, giusto per dare una corretta dimensione alla fola dell’”abuso di pesticidi”, per dare a Lei il cibo che consuma in un anno, tutti gli agricoltori italiani messi insieme, da Bressanone a Ragusa, impiegano un solo chilo di sostanze attive. Si faccia quindi una manata di conti su quante sostanze adopera Lei all’anno, a vario titolo, per tenere in ordine se stessa e la Sua casa, poi magari ne riparliamo. Io l’ho fatto questo conto e sono rimasto basito.

Visti tutti questi trend al miglioramento nel settore dei prodotti fitosanitari, vi è quindi da chiedersi le reali ragioni per cui trasmissioni come la Sua insistano nel presentare tali prodotti come fosse un’emergenza dirompente, quando invece non lo sono affatto, venendo comunque presentati come pericoli incombenti oggi in chiave acque, domani sulla salute, dopodomani sulle api. Api che continuano peraltro ad avere tutti i loro problemi nonostante il bando dei neonicotinoidi. Quindi prima o poi qualche domanda ce la si dovrà porre. E qualche responsabilità andrà finalmente rinfacciata pure a chi abbia contribuito con le proprie comunicazioni fuorvianti ad allontanare l’attenzione dalle vere cause del problema.

Pur comprendendo bene le scelte editoriali della Sua trasmissione e di quelle similari, cara Giannini, non posso quindi tacere in caso venga creata inquietudine tramite delle non-notizie come quelle dei residui, legali e sicuri, di glifosate nella pasta. Il tutto, a danno proprio del cittadino comune, per lo più incapace di discernere il falso dal vero e le infinite sfumature intermedie. Io, per scrivere il mio di libro, “Orco Glifosato”, mi sono preso due anni di tempo. Oltre alla monografia IARC – e agli studi su cui si basa – mi sono studiato più di mille e 500 pagine di report, ricerche, dossier, nonché le posizioni ufficiali di tutte le Autorità sopra riportate (bugia: quella giapponese che ho trovato era scritta in ideogrammi e mi sono arreso, limitandomi all’abstract in inglese). Mi sono pure confrontato con qualche tossicologo di fama internazionale che opera da anni anche in seno all’OMS, soprattutto in tema “pesticidi”. Infine, mi sono dilettato ad approfondire le maleolenti ombre che gravano su quella monografia 112, visti gli strani insabbiamenti operati ai danni di studi favorevoli a glifosate, come pure le modifiche peggiorative dell’ultimo secondo apportate ai testi della monografia stessa. Modifiche rimaste inspiegate nonostante le richieste ufficiali di chiarimento, a dimostrazione che l’indipendenza è nulla senza la doverosa trasparenza. Per non parlare delle ingerenze nel gruppo di lavoro IARC di un consulente dello studio legale che per primo preparò la causa contro Monsanto. Consulente che, inspiegabilmente, riuscì a diventare Presidente proprio del gruppo di lavoro che doveva valutare glifosate. E questo per Lei sarebbe “il meglio dell’epidemiologia mondiale”? La invito seriamente a rivedere le Sue posizioni in tal senso, perché quella monografia è ormai acclarato essere un documento indegno di una struttura legata all’OMS. Un documento che andrebbe ritirato e rifatto da capo, magari senza intromissioni indebite da qualsivoglia parte.

Gli unici a trarre vantaggio da quella monografia sono stati infatti gli studi legali che hanno intrapreso contro Monsanto una serie infinita di “predatory litigation”, odiosa e spregiudicata involuzione delle ben più nobili class action dei primordi. Studi legali che in America possono diffondere sui media inserzioni pubblicitarie alla caccia di malati di tumore, promettendo indennizzi da favola se si uniscono all’azione legale. Poi vincono, incredibilmente. Vincono grazie proprio a quella monografia 112 e agli analfabeti funzionali che tali sentenze credono siano la prova che glifosate provochi il cancro, dimostrando in un colpo solo di capir nulla sia di glifosate, sia di processi americani, con tutti i danni che ne conseguono, economici e sociali.

Quando e se vorrà, Giannini, glieLe potrò quindi raccontare io amichevolmente tutte le summenzionate “zone d’ombra” in cui ha operato quel gruppetto di Lione, il quale di imbarazzi con la propria deprecabile monografia ne ha causati tanti, sia nella IARC, sia nell’OMS. Sa, credo ancora che un/a giornalista serio/a debba cercare la notizia dove c’è, anziché costruirla dove non c’è. Ma io, come detto, sono un giornalista specializzato, tecnico, scientifico. Uno che parte dai dati e che ai dati sempre è chiamato a tornare. Non vengo infatti misurato né pagato in base ai click o allo share che produco, bensì in base ai contenuti di ciò che pubblico. Contenuti ovviamente sempre verificabili ed eventualmente smentibili se per caso si rivelassero erronei. E io non ho mai dovuto correggere un mio articolo né tanto meno spubblicarlo, nonostante i continui assalti portati sia agli articoli, sia alla mia persona.

Un divario operativo e metodologico che ritengo purtroppo incolmabile fra quelli come me e quelli che operano secondo le (il)logiche del contatto col grande pubblico. E forse è proprio per questo che le cose vanno sempre peggio su molteplici fronti.

Quindi, cara Giannini, continui pure a produrre le Sue puntate sui millemila veleni che dall’agricoltura giungerebbero nei piatti degli italiani. Io la saluto cordialmente con il seguente grafico: è la raffigurazione dei morti globali per carestia, media per decennio, su centomila abitanti. Guardi gli Anni 60, quelli in cui entrambi siamo nati. Fatto? Ecco, oggi le morti per carestie sono calate del 99% rispetto a quando noi due emettevamo i primi vagiti.

Un dato di cui possono andare orgogliosi proprio quelli come me, come Marco Pasti, come i colleghi di SeTA e come tutti coloro che sanno bene a cosa vada attribuito un tale miracolo agroalimentare. I giornalisti come Lei, Giannini, pare siano invece troppo occupati ad attaccare noi e il nostro lavoro per rendersi conto che se siete nati e siete vissuti nell’agio dei tre pasti al giorno è soprattutto per merito di quelli come me, come noi, i quali un grave errore l’hanno sì commesso: dare da mangiare a tutti, seguendo affannosamente la crescente domanda di cibo, senza imporre mai la preghierina prima dei pasti. Al Signore? No, io sono pure ateo. A giganti come Norman Borlaug, Nazareno Strampelli, Fritz Haber e Carl Bosch e a tutto l’esercito di scienziati, tecnici e agricoltori che quel cibo hanno reso possibile e che oggi producono e consegnano a dispetto degli insulti e delle demonizzazioni che ricevono. Cioè quelli che invece di essere ringraziati per quello che fanno vengono dipinti da trasmissioni come la Sua quasi fossero somministratori a tradimento di veleni. Un’ingiustizia di una gravità immensa che merita documentate contro argomentazioni. Contro argomentazioni che ovviamente non troveranno mai spazio in prime-time. Si dice così no? Sa, Giannini, oltre a non essere un epidemiologo in senso stretto capisco poco anche di terminologia televisiva…

Riferimenti bibliografici

1) Efsa:

http://www.Efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/4302.pdf

2) Efsa:

http://www.Efsa.europa.eu/sites/default/files/corporate_publications/files/Efsaexplainsglyphosate151112en_1.pdf

3) Jose V. Tarazona et Al. (2017): “Glyphosate toxicity and carcinogenicity: a review of the scientific basis of the European Union assessment and its differences with IARC”. Arch Toxicol. 2017; 91(8): 2723–2743. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5515989/

4) Bfr: http://www.bfr.bund.de/cm/349/does–glyphosate–cause–cancer.pdf

5) EPA: https://www.federalregister.gov/documents/2013/05/01/2013–10316/glyphosate–pesticide–tolerances e EPA’s Office of Pesticide Programs September 12, 2016 “Glyphosate Issue Paper: Evaluation of Carcinogenic Potential”

6) Oms e Fao: http://www.who.int/foodsafety/jmprsummary2016.pdf?ua=1

7) Echa: https://echa.europa.eu/–/glyphosate–not–classified–as–a–carcinogen–by–echa.

8) Posizione Autorità australiane: Australian Pesticides and Veterinary Medicines Authority: “Regulatory position: consideration of the evidence for a formal reconsideration of glyphosate”. Settembre 2016

9) Posizione Autorità neozelandesi: Review of the Evidence Relating to Glyphosate and Carcinogenicity. Environmental Protection Authority, agosto 2016

10) Posizione delle Autorità canadesi (Pest Management Regulatory Agency): Re-evaluation Decision RVD2017-01, Glyphosate. 28 April 2017

11) Posizione Ufficio federale dell’Agricoltura elvetico rispetto a glifosate: report del 4 ottobre 2017

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