Inchieste03/11/2022 15:52

Greenpeace attacca zootecnia italiana e Timmermans frena promozione carne e vino. Ma suo capo gabinetto attivista Greenpeace Paesi Bassi e già Ad Real Energy

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Timmermans vuole eliminare la promozione di vino e carne dai programmi di promozione europei; Greenpeace pone ancora una volta "la necessità di pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei" (come Belgio e Olanda - ndr); e il capo di gabinetto del vicepresidente della Commissione Ue, Diederik Samsom, è stato un attivista di GreenPeace Paesi Bassi e amministratore delegato di una società di energia verde -Echte Energie (Real Energy).

E i conti tornano.

La zootecnia italiana si ritrova nuovamente a fare i conti con GreenPeace, la quale ciclicamente torna ad attaccare uno dei settori di eccellenza del made in Italy. L'ultimo j'accuse oggi, per mezzo di un comunicato stampa e di un report che collega allevamenti, fondi pubblici e inquinamento.

“Sembra che si faccia finta di ignorare che gli allevamenti intensivi sono già da anni considerati attività insalubri di prima classe, e che pertanto servono misure per proteggere la salute delle persone e l’ambiente dalle loro pericolose emissioni. Per farlo in modo efficace, occorre pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei. Rimandare questi provvedimenti, significa ignorare gli impatti su salute e ambiente legati all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi", dichiara Simona Savini, che si occupa della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.

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Ma "l'interesse" da parte dei Paesi del nord Europa e delle multinazionali a frenare la produzione zootecnica è da tempo molto forte.

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E ridurre il numero di allevamenti è esattamente ciò che sta avvenendo nei Paesi Bassi, dove in nome della transizione energetica si prevede di tagliare drasticamente il numero del bestiame e parallelamente investire in carne sintetica. Una strategia europea che però mette a rischio la sicurezza alimentare ed economica dell'Ue, che dovrà per forza di cose ricorrere a maggiori importazioni, come evidenziato già in numerose ricerche europee e internazionali. 

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GreenPeace "ha dunque geolocalizzato 894 allevamenti inquinanti appartenenti a 722 aziende, alcune delle quali fanno capo a gruppi finanziari come il colosso assicurativo Generali, a nomi noti del food come Veronesi SpA, holding che comprende i marchi Aia e Negroni, o a grandi aziende della zootecnia come il gruppo Cascone. Le regioni della Pianura Padana sono quelle maggiormente a rischio. Qui, infatti, ha sede il 90% degli allevamenti italiani che nel 2020 hanno emesso più ammoniaca. Capofila è la Lombardia, dove si trova oltre la metà degli stabilimenti che emettono grandi quantità di ammoniaca, una sostanza che concorre in maniera importante a formare lo smog che respiriamo" sottolinea l'associazione ambientalista.

Qui la mappa GreenPeace con la Lombardia maglia nera: 

https://public.tableau.com/app/profile/greenpeace.italia/viz/AmmoniacaePAC2020/Regioni 

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"Dati alla mano, in Italia gli allevamenti sono la seconda causa di formazione del particolato fine (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%). Le polveri fini (PM2,5) sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50.000 vittime in Italia nel solo 2019" evidenzia GreenPeace.

Infine la questione Pac e soldi pubblici: 

"Aggiornando i dati pubblicati nel 2018, l’inchiesta di Greenpeace mostra come quasi 9 aziende su 10, tra quelle che possiedono allevamenti segnalati nel Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR), abbiano ricevuto finanziamenti nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC): un totale di 32 milioni di euro nel 2020, per una media di 50.000 euro ad azienda" dichiara l'associazione.

GreenPeace infine richiama la necessita di una maggiore stretta sugli allevamenti, come previsto dalla proposta della Commissione UE di modifica della direttiva europea sulle emissioni industriali. La stessa che equipara un allevamento di 150 capi ad una industria altamente inquinante.

Qui il report completo di Greepeace su inquinamento e fondi pubblici nella zootecnia italiana: 

https://www.greenpeace.org/static/planet4-italy-stateless/2022/11/ca1cf40a-allevamenti_ammoniaca.pdf

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Ancora una volta vi è un fil rouge che lega -in questo caso direttamente- comparti ambientalisti e vertici della Commissione Ue. Ma non solo, perchè non sono neppure nascosti i grandi interessi che legano carne sintetica, finanziamenti pubblici (e privati) e aziende energetiche, in virtù della grande quantità di energia che richiedono i bioreattori per produrre la fake meat. Il tutto infine avviene proprio nei Paesi Bassi, sede della Commissione Ue a Bruxelles, che è anche uno dei paesi con il maggior numero di multinazionali, nonchè lo stesso che tagliando sugli allevamenti ha investito tra i primi in cibo sintetico.  

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La direzione intrapresa dall'Unione Europea è quella di una dieta unica che prevede il consumo sempre più limitato di carne, vino e latticini e che si lega direttamente alle politiche sulla chiusura degli allevamenti. Nessuna scelta libera viene dunque lasciata al consumatore, sempre più condizionato nella scelta, sia davanti allo scaffale del supermercato (Nutriscore) che a monte della filiera (allevamenti).

Una Dieta, dunque, promossa direttamente dalla Piattaforma di Affari che racchiude le multinazionali del food (e non solo), la World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), che mira a 'guidare' i consumi mondiali all'insegna del 'bene' del pianeta e dei consumatori ed a "trasformare il sistema alimentare" sulla base degli studi Eat.

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Non stupisce dunque la corsa dei grandi gruppi industriali, delle più importanti aziende di carne mondiali e dei fondi di investimento privato (nonchè di molti paesi, tra cui Olanda, Gran Bretagna, Israele, Cina, Usa) verso il mercato del cibo sintetico. Le grandi aziende zootecniche e i big label dell'industria alimentare sono le stesse che controllano il mercato delle alternative della carne, dal sintetico alle varianti vegetali.

Società come Cargill e JBS, la più grande azienda di lavorazione della carne al mondo, non solo hanno investito in tali mercati, ma hanno rilevato società più piccole, in quello che va dunque definendosi come un oligopolio sul fronte zootecnico e non solo. Queste stesse aziende, inoltre, sono le stesse che si stanno unendo ad altri giganti alimentari che già controllano circa l'80% del mercato alternativo alla carne, tra cui Kellogg's, che possiede il marchio MorningStar Farms, e Conagra, che possiede Gardein.

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Tutte aziende che fanno appunto parte di quella piattaforma di Affari, la World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) che mira ad instaurare una dieta unica.

Eppure si impone con forza una domanda. La carne sintetica o quella realizzata con sostituti vegetali è realmente sostenibile e salutare per l'uomo come affermano i suoi produttori? Alcune studi mettono in dubbio quei risultati, e anzi rilanciano: Molte affermazioni si basano su ricerche e studi scientifici infondati che i produttori hanno finanziato.

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Si tratta, sia per la carne realizzata con alternative vegetali che per quella di laboratorio, di prodotti ultra processati, che richiedono un grande consumo di energia per essere prodotti e l'utilizzo di monocolture industriali dannose per l'ambiente. Ma non solo, scienziati e ricercatori mettono in guardia anche dai rischi che tale produzione industriale potrebbe arrecare ai sistemi agricoli, specialmente quelli più fragili del sud del mondo. 

Inoltre le affermazioni sugli impatti del settore zootecnico sull'ambiente e quelle sui rischi per la salute derivanti dal consumo di carne rossa sono spesso fuorvianti e generalizzano eccessivamente. 

Per saperne di più: 

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